Tonno sottolio. L’alimento ideale per l’estate e non solo

Tonno sottolio. L’alimento ideale per l’estate e non solo
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Chi non ha in dispensa almeno una scatola di tonno? In Italia è la conserva ittica preferita, presente nel 94% delle case e portata in tavola ogni settimana da quasi 1 italiano su 2. Nel 2015 i consumi sono leggermente aumentati, arrivando a 2,4 kg pro capite all’anno. Il tonno in scatola piace soprattutto ai giovani sotto i 25 anni e alle famiglie con bambini. Perché è pratico, versatile, gustoso ed economico (dati indagine Doxa per l’Associazione Nazionale Conservieri Ittici, ancit.it).

Ricco di nutrienti
Se sulla praticità sono tutti d’accordo, sui valori nutrizionali del tonno in scatola qualcuno ha dei dubbi. In realtà i nutrienti sono paragonabili a quelli del pesce fresco. In particolare il tonno in conserva è un’ottima fonte di proteine nobili, è ricco di iodio (importante per il funzionamento della tiroide), fosforo e potassio, vitamine A e B, grassi Omega 3 (solo in parte ridotti dal calore). In più, come ha messo in luce una ricerca della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA), contiene alti livelli di selenio, efficace antiossidante.

Mercurio sotto controllo
In quanto alla sicurezza delle conserve ittiche, i controlli sono molto frequenti, lungo tutta la filiera. E i livelli di mercurio, un metallo che si accumula soprattutto in pesci predatori come il tonno, in genere sono molto al di sotto dei limiti di legge. Per prudenza, si consiglia alle donne in gravidanza e ai bambini sotto i 3 anni di non superare le 2 porzioni di tonno in scatola a settimana.

Occhio all’etichetta
Non tutte le scatolette però sono uguali. Per scegliere, bisogna partire dall’etichetta: più è ricca di informazioni, maggiore in genere è la serietà del marchio. Oltre alle poche diciture obbligatorie (il nome generico “tonno” o “conserva di tonno”, gli ingredienti con il tipo di olio, il peso sgocciolato, lo stabilimento di lavorazione), varie aziende ne riportano altre facoltative. «L’allarme lanciato dalle associazioni ambientaliste come Greenpeace, contro una pesca dannosa per i mari, ha creato una maggiore coscienza nei consumatori, che vogliono etichette più trasparenti» dice Vito Santarsiero, presidente dell’Ancit. A cominciare dall’indicazione della specie del tonno.

Pinna gialla o tonnetto
Il tonno più utilizzato per le conserve, e anche il più pregiato, è il pinna gialla (Thunnus albacares), dalle carni chiare e rosate e il gusto delicato. Secondo ANCIT (Associazione Nazionale Conservieri ittici) “il pinna gialla o yellowfin, insieme con il tonnetto striato, costituisce il 90% della materia prima dell’industria conserviera mondiale. Non si tratta di una specie in via di estinzione o sovra sfruttata. Per quanto riguarda i metodi di pesca l’industria italiana del tonno privilegia fornitori che adottano modalità di pesca idonei a evitare il sovra sfruttamento delle risorse. E va ricordato che le flotte impegnate nella pesca dei tonni da cui attingono le industrie italiane, rispettano le leggi e i regolamenti che vietano l’uso di strumenti di pesca impropri e delimitano i periodi di attività per non intralciare il necessario ripopolamento della specie e garantire una migliore sostenibilità della pesca in tutti i mari.”

Greenpeace sostiene invece che alcuni stock siano minacciati e consiglia il più sostenibile tonnetto striato (o skipjack thuna): più piccolo, con carni scure e sapore intenso, in Italia è ancora poco diffuso. Infine il tonno rosso del Mediterraneo, protetto perché a rischio di estinzione, si trova solo in piccole quantità, prodotto da aziende artigianali.

Pesca: attenzione all’ambiente
Anche con una semplice scatoletta, si può fare qualcosa per l’ambiente. Come? Verificando in etichetta la zona di pesca: non è obbligatoria, ma oggi molti marchi la indicano con una sigla: una lettera per l’oceano (A per Atlantico ecc.), seguita da un numero per la zona Fao (37 è il Mediterraneo). Più raro che le aziende segnalino il metodo di pesca, che può essere con reti a circuizione o a canna, per gli esemplari più piccoli come il tonnetto. Oggi i marchi più attenti evitano i sistemi di pesca meno selettivi, con palamiti (lunghe corde con tanti ami) e i Fad (Fish Aggregating Devices, oggetti galleggianti che attirano tonni e altre specie).

Italiano? Non sempre
Solitamente il pesce è congelato a bordo appena pescato e poi trasportato negli stabilimenti, dove viene scongelato, cotto a vapore, pulito, porzionato e inscatolato. Raramente il tonno è inscatolato crudo e cotto a pressione: in questi casi le carni rimangono più chiare. La lavorazione può avvenire in parte o interamente in Italia (molte aziende hanno delocalizzato): in questi casi viene segnalato in etichetta.

Dentro la scatoletta
Dopo aver controllato l’etichetta, è il momento di aprire la scatola di tonno. In Italia il più diffuso è quello sott’olio, d’oliva (molto raramente extravergine) o di girasole. Il tonno al naturale in salamoia copre solo il 14% del mercato. Il contenuto di sale varia da un marchio all’altro, alcuni usano quello marino. Non si aggiungono conservanti perché il tonno viene sterilizzato dopo l’inscatolamento. Le parti più utilizzate sono quella dorsale, più consistente, mentre la ventresca, ritenuta pregiata, è più morbida e grassa. In media circa il 40% di un esemplare di tonno finisce in scatola: i prodotti con tranci interi non troppo ricchi d’olio sono preferibili.

*Notizia ripresa da SalePepe.it
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